L’AIDS phobia è considerata un sintomo e non una malattia: in realtà la patologia è allo stato latente e l’aids-phobia costituisce il sintomo d’esordio.

Un corretto inquadramento diagnostico deve indurre a guardare il sintomo in un contesto più ampio del funzionamento psichico e comportamentale di una persona e aiutare a svelare il vero disagio in cui il sintomo si inserisce e di cui è sintesi.

La paura di aver contratto l’AIDS diventa allora il “contenuto” della fenomenologia sottostante, l’”oggetto” dei quadri morbosi più o meno latenti e su cui dovrà basarsi un efficace approccio terapeutico.

Ma perché proprio l’oggetto-AIDS diventa la voce pretestuosa di un’angoscia preesistente?

Si è soliti considerare i contenuti dei deliri lo specchio delle preoccupazioni popolari, tanto più se i mass-media contribuiscono ad alimentarne l’enfasi.

Ad esempio: “la peste” è la metafora principale impiegata per l’epidemia da AIDS e da sempre questo termine è considerato sinonimo di flagello sociale per punizione divina.

Va però detto che alcune malattie, storicamente considerate di volta in volta la “peste del secolo”, come ad esempio il cancro, non suscitano sensi di colpa, legati alla possibilità di contagio, propri invece delle malattie infettive (tubercolosi, lebbra, sifilide, ecc.).

I “colpiti”, nel caso di una malattia infettiva, diventano inoltre ancora più “colpevoli” nelle malattie veneree, nel momento in cui essi non solo si ammalano a causa di un comportamento deliberatamente illecito (sifilide) o perverso (AIDS), ma sono altresì responsabili del rischio di contagiare la popolazione cosiddetta “innocente”.

Così il pensiero di avere contratto l’AIDS può assumere le connotazioni di un’idea delirante per il paziente che cerca di dare una forma razionale e tangibile al proprio senso di colpa: se l’imprudenza sessuale è la sorgente psicodinamica della colpa, l’AIDS sembra fornire la punizione relativa.

Inoltre, se la sifilide, con la comparsa di demenza, tipica della sua fase terminale, poteva ispirare originalità artistica o feconda genialità – concetti più diffusi in un certo immaginario collettivo che non propri della psicopatologia – l’AIDS, con la sindrome da immunodeficienza acquisita ad essa correlata, suggerisce piuttosto un’immagine di inadeguatezza sociale e insufficienza personale nel contesto delle relazioni con l’altro.

Se la diagnosi di cancro viene ancora nascosta innanzitutto al paziente, attorno al quale si consolida il nucleo familiare, la “sieropositività” resta a lungo un segreto dell’individuo che anticipa, nella propria solitudine, atteggiamenti di espulsione e xenofobia, ritenuti inevitabili.

La descrizione di un caso clinico può aiutare a chiarire questi aspetti.

Lorenzo è un uomo di trentatré anni; è nato e vive in una piccola città del nord Italia con i genitori.

Il padre, alcolista, viene da lui descritto come “persona distante e disinteressata alle vicende familiari”; la madre, affetta da psicosi cronica, è stata ricoverata in strutture psichiatriche in numerose occasioni, in particolare durante l’infanzia del paziente.

Per questi motivi Lorenzo cresce presso una coppia di zii di cui ricorda l’atteggiamento severo, critico e talvolta espulsivo nei suoi confronti.

Durante l’infanzia e l’adolescenza è un bambino solitario, introverso, con importanti difficoltà al rendimento scolastico al punto da non portare a termine la scuola dell’obbligo.

Trova così lavoro, come apprendista manovale, riuscendo a stabilire e mantenere nel tempo un buon rapporto con colleghi e datori di lavoro.

Raggiunta la maggiore età adempie regolarmente al servizio di leva.

Intraprende una relazione sentimentale con una donna sua coetanea ma il rientro in famiglia segna un profondo cambiamento nel suo stile di vita.

Lorenzo diventa molto attivo nella vita sociale e intraprende nuove amicizie e nuove relazioni sentimentali; diventa a poco a poco sempre più irrequieto, emotivamente labile ed inizia ad abusare di bevande alcoliche.

In quello stesso periodo viene lasciato dalla fidanzata che lo accusa di inadempienza delle promesse matrimoniali.

Negli anni che seguono, Lorenzo scopre di essere portatore di un’affezione luetica: questa consapevolezza lo porta a sviluppare un profondo senso di colpa, alimentato dal timore di contagiare la sua nuova compagna.

Si accentua in lui uno stato d’ansia che si esprime con diverse somatizzazioni, quali cefalea, dispnea, astenia, dolori diffusi.

Compaiono disturbi della condotta alimentare (anoressia), insonnia e difficoltà nel mantenere attenzione e concentrazione; Lorenzo comincia così ad accusare un certo calo nel rendimento lavorativo.

Il medico di base lo invia all’ambulatorio di psichiatria della sua città, cui seguono numerosi ricoveri in ospedale, nel Reparto di Psichiatria.

All’inizio ciò che Lorenzo esprime è il prevalere di una sintomatologia ansioso-depressiva con tematiche ipocondriache vaghe e mal definite, tant’é che viene posta diagnosi di “Disturbo di Personalità con tratti fobico-ossessivi in paziente con abusi alcolici periodici”.

Solo in un secondo tempo si struttura un quadro psicopatologico con caratteristiche di tipo psicotico, quali turbe dispercettive e disturbi del comportamento, che talora si manifestano con agiti pantoclastici (spacca tutto in casa, in preda ad una rabbia incontrollabile).

Le preoccupazioni ipocondriache si focalizzano attorno al timore di aver contratto l’infezione da HIV.

L’angoscia che Lorenzo prova è così profonda e inattaccabile dalla critica che a nulla servono a rassicurarlo i ripetuti esiti negativi degli esami clinici ed ematochimici eseguiti al riguardo.

Attorno al timore patologico di aver contratto l’AIDS si intrecciano variamente i vissuti di colpa e di espiazione.

Durante i primi ricoveri vengono evidenziati sentimenti di ostilità e rivendicazione nei confronti dell’ex fidanzata, alla quale Lorenzo attribuisce la responsabilità del contagio ricevuto ma, in realtà, solo fantasticato. I contemporanei ricoveri del padre dovuti ad intossicazione etilica acuta vengono vissuti e interpretati da Lorenzo, la prova provata dell’avvenuta trasmissione dell’infezione fra sé e i genitori, il che provoca in lui sentimenti di colpa intollerabili.

Si verificano episodi dissociativi del pensiero con crisi di agitazione psicomotoria tali da richiedere spesso provvedimenti di contenzione fisica.

I sentimenti crescenti di inadeguatezza e di colpa culminano in un tentato suicidio da farmaci, tentativo attuato tuttavia con modalità dimostrative: Lorenzo riesce a chiamare aiuto subito dopo aver ingerito un quantitativo incongruo di medicinale.

Conseguenza di un inevitabile, ennesimo, ricovero in ospedale è l’ipotesi di un inserimento in una comunità terapeutica o in un istituto per lungodegenti.

Una tale prospettiva viene vissuta da Lorenzo come una sorta di “internamento” e di fatto, invocata dallo stesso quale riparo estremo ai suoi tormenti ma anche ritenuto  e temuto come “esilio” imposto dalla coalizione ostile e punitiva tra genitori e terapeuti.

Una terapia integrata, farmacologica e sistemica, con il coinvolgimento della famiglia e l’inserimento di Lorenzo in un progetto terapeutico alternativo all’istituzionalizzazione, ha permesso al paziente di convincersi finalmente della negatività dei test ai quali è stato sottoposto ed ha comportato una graduale scomparsa della fobia di contaminazione da HIV e dei relativi vissuti di colpa e inadeguatezza.

La trasformazione dei sintomi originari (es. la fobia del contagio), in altre forme di espressione dell’ansia più agevoli da vivere e da gestire, ha permesso il consolidamento di una relazione terapeutica più autentica ed efficace.

Questo caso clinico, a cavaliere tra la patologia psicotica, quella depressiva e quella borderline, illustra bene il significato psicopatologico complesso e polimorfo che può assumere la paura patologica dell’AIDS; risultano evidenti, in particolare, le dinamiche relazionali che correlano le radici deliranti della colpa con il fantasma culturale che infiltra la convivenza culturale e sociale, saldandosi in un intreccio clinico denso e opaco, che la pratica terapeutica quotidiana deve cercare faticosamente di intendere e dipanare.